Riprendendo le riflessioni del mio precedente post “Destra e Sinistra?”, se l’egualitarismo è sorretto da una pur non dichiarata visione deterministica, allora è possibile dare una spiegazione alla conflittualità che sempre si manifesta in quest’area politica tra diverse forze e fazioni e ne determina la frammentarietà.
Necessariamente (ma non troppo) i diversi gruppi che si contendono la posizione progressista -esclusa dunque l’ala estrema di carattere rivoluzionario- vengono rappresentati da un cosiddetto leader che non appare mai come un semplice referente, ma come fosse la fonte delle istanze politiche, il paladino, il campione. Tutto ciò collide con il principio del merito, derivante dalla varietà del caso, pensato come contributo gratuito e disinteressato. Ed assegna a questi personaggi una qualità ed un prestigio super partes.
L’elezione di un capo, di un leader, rappresenta una comprensibile sintesi ma produce inevitabilmente quei conflitti di cui dicevo ed ai quali obiettivamente assistiamo. Tutto ciò vanifica il valore, che dovrebbe essere predominante, di un programma come esclusivo “riferimento politico”.
Le persone che oggi rappresentano i diversi gruppi della “nuova Sinistra” alla ricerca di una convergenza sono Giuliano Pisapia, Giuseppe Civati, Luigi Bersani, Massimo D’Alema, Nicola Fratoianni (l’ordine è per nome) ed altri: con Anna Falcone e Tomaso Montanari sarebbero giusto sette. Pensare ad un progetto comune significa conciliare i loro trascorsi, le loro personalità, l’ottica diversa, per ognuno di loro, con la quale li scrutiamo, li apprezziamo, li critichiamo oppure li disprezziamo. Ma dietro i loro nomi ci sono migliaia di persone che costruirebbero personali scalette diverse da quella alfabetica. Che senso ha tutto ciò? “non è così che si uccidono i cavalli” titolava quel film?
Dovrebbe essere invece chiaro che noi, migliaia di persone, non siamo i nostri leader, ma cittadini che attendono più un programma di governo del Paese che il prevalere di un condottiero sugli altri. Lo sforzo della Politica dovrebbe consistere proprio nel prescindere da quei nomi che potrebbero farsi, dopo e tutt’al più, portatori istituzionali di quel programma. Sono convinto che la prospettiva di precisi intenti legislativi in tutti i campi in cui il Paese attende (ed un nome come una bandiera identificativa) sarebbero sufficienti a persuadere un numero molto elevato di elettori a recarsi nuovamente alle urne.
Sinistra, dunque, dovrebbe essere un programma di governo. E se questo dovesse scaturire da anonimi e convergenti compilatori, ispirati dal proprio movimento di appartenenza, la sua forza rappresentativa di una gran parte dell’elettorato ne sarebbe molto accresciuta. So che processi come questo avvengono già in movimenti come “Possibile” ed anche in “Sinistra italiana” (immagino), ma se qualcuno mi chiedesse chi rappresenti e quali istanze un personaggio pur idealizzato come Giuliano Pisapia, francamente non saprei cosa dire. E non mi piacerebbe sentirmi rispondere che Pisapia è Pisapia ed attrae elettori.
Un Governo può non soddisfare tutte le aspettative della maggioranza di un popolo elettore, così un Programma può non includere tutti i propositi per una Società ideale. Ma questa sarebbe una Democrazia il più possibile scevra da caratteri oligarchici. Ed è indubbio che la formulazione di un progetto politico, nel succedersi delle legislature, da parte di molteplici (e quasi anonimi) contributi rappresenterebbe davvero l’essenza di una vera Democrazia partecipata.
P.S. A proposito di preferenze.
La battaglia per l’inserimento delle preferenze nella scheda elettorale è sacrosanta perché con esse il cittadino può scegliere chi debba rappresentarlo in Parlamento. Tuttavia sorgono spontanee due domande.
Quali sono, per una persona non iscritta ad un partito e non assidua agli incontri politici di questo, gli strumenti per valutare l’efficacia e la competenza di un candidato? i quotidiani? la televisione? con tutte le accuse di faziosità (e arbitrarietà) che a questi media sono rivolte da tutte le parti politiche?
Quale percentuale di cittadini si reca alle urne avendo qualche idea di chi siano tutti coloro che vengono elencati nelle liste aperte, bloccate, con capolista o senza? In una grande città come quella in cui ho vissuto io stesso per più di mezzo secolo, Genova, sarebbe bastato guardarsi intorno per osservare gente disorientata studiare interrogativamente i manifesti affissi nelle sezioni elettorali.
Dunque? dunque torna la questione del programma -promesso e mantenuto o meno, perciò responsabile delle scelte in una successiva “tornata”- che, per chi si accinge ad operare una scelta (politica), rimane il più efficace manifesto per l’orientamento, senza personalismi, culto della (delle) personalità e leader carismatici.